Oltre le liste d’attesa serve una riforma complessiva del Ssn
A ben vedere, ci si accorge che ancora una volta la politica che governa (ma anche quelle di opposizione che non vi fa affatto cenno!) ha perso una grande occasione: quella di procedere ad elaborare una riforma strutturale complessiva del Servizio sanitario nazionale, finalmente garante del diritto alla salute.
È in circolazione la bozza di decreto-legge recante misure urgenti per la sanità (non) erogata, transitata dalla Conferenza Stato-Regioni, che dovrebbe essere approvato in Consiglio dei Ministri il prossimo 3 giugno (su questa rivista articolo della redazione del 24 maggio scorso). Un prodotto di primo acchito “generoso” ma purtroppo, come al solito, pensato senza:
- aver fatto il preventivo inventario di tutti i gravi malfunzionamenti esistenti, di conseguenza ampiamente trascurati;
- preteso dalle Regioni alcuna rilevazione dei fabbisogni epidemiologici, lasciandole così tutte libere di nuotare nella brutta abitudine di non fare alcunché al riguardo da sempre;
- individuati i fattori di rischio e previsto le garanzie assistenziali in caso di epidemie;
- avere redatto neppure una ipotesi di Piano Sanitario Nazionale, assente dal 2006 in poi, dunque, senza avere programmato alcunché in via generale;
- messa da parte ogni soluzione di tipo strutturale, che è ciò che servirebbe.
A ben vedere, il decreto-legge si presenta – atteso che non risolverà affatto il problema delle liste di attesa, nonostante la naturale ricaduta di incremento degli incassi degli erogatori accreditati privati – come atto emergenziale ideato unicamente allo scopo di strappare un consenso politico effimero nella prossimità di scadenze elettorali, peraltro modificando i dicta costituzionali e alcune delle leggi in vigore nonché invadendo competenze legislative di dettaglio delle Regioni.
Infatti, quanto ai LEA: sette Governi completamente disinteressati, dalla loro prima genitura del 29 novembre 2001 all’ultima del 12 gennaio 2017, aggiungendo a questi i quattro successivi, anche essi disattenti al tema, fatta salva la previsione nella legge di bilancio per il 2023 funzionale all’istituzione del CLEP, del quale però non si sa più nulla.
Attuare e applicare la Costituzione sono due cose diverse ma inseparabili
Leggendo la bozza datata 3 maggio scorso, si nota che si fanno risorgere vecchi strumenti – del tipo la “Carta dei diritti dei cittadini in materia di prestazioni sanitarie” – in un Paese ove non si attua nel concreto la Costituzione, a cominciare dalla istituzione delle Regioni, per finire ai Lep e alla perequazione, per concludere con la esigibilità dei diritti sociali degli anziani e dei disabili. Figuriamoci quali grandi benefici arriveranno dalla novella Carta dei diritti di cittadinanza, che peraltro trascura, al riguardo, la esatta e corretta percezione del destinatario costituzionale del diritto alla tutela della salute che deve essere assicurato allo “INDIVIDUO” (art. 32 Cost.).
Una attenzione, questa per l’individuo piuttosto che per il cittadino, che sarebbe stata indicativa, apprezzata dall’UE e dimostrativa della dovuta considerazione nei confronti degli immigrati, regolari e irregolari. Non solo avrebbe costituito un corretto esempio di attuazione e applicazione della Costituzione, oggi confusi in una inspiegabile sinonimia, da doversi assolutamente distinguere e concretizzare per loro conto e nell’insieme.
Le risorse: quali, quante e dove trovarle
A ben vedere, ci si accorge che ancora una volta la politica che governa (ma anche quelle di opposizione che non vi fa affatto cenno!) ha perso una grande occasione: quella di procedere ad elaborare una riforma strutturale complessiva del Servizio sanitario nazionale, finalmente garante del diritto alla salute. Così come preteso dalla Costituzione e dalla grande riforma del 1978, istitutiva del SSN e dell’universalismo.
Dunque, un dovere istituzionale trascurato, nonostante lo start prossimo sulla mutazione del finanziamento dei LEA: dalla spesa storica ai costi e fabbisogni standard. Al riguardo, ed è preoccupante, non è dato di capire quali saranno e da dove perverranno le risorse per assicurare quanto è programmato in più rispetto all’attuale.
Ma si sa, si voterà l’8 e il 9 giugno. È molto più facile essere marinai (dalle facili promesse per ogni porto) che rocciatori, costretti ad arrampicarsi con tanta fatica per raggiungere quelle mete lasciate perdere dal 2001, imponendo così venticinque anni di sofferenze sociali e indebitamenti giganteschi, specie nelle regioni del sud del Paese.
Di Ettore Jorio – Quotidiano Sanità