Disturbi alimentari, l’esperto: “Il fondo? Bisogna fare di più”

Febbraio 15, 2024|In Notizie

Filippo Iovine è Responsabile di un Ambulatorio per i DCA: “È necessario aumentare i finanziamenti di tutti i servizi di salute mentale”

Venerdì 19 gennaio migliaia di studenti in 30 città italiane sono sceseìi in piazza per protestare contro la decisione del Governo di azzerare il Fondo per la cura dei disturbi alimentari. Questa scelta, per nulla condivisa dall’opinione pubblica, ha prepotentemente riacceso i riflettori sulle patologie di natura alimentare, probabilmente ancora troppo sottovalutate. Per approfondire il tema, abbiamo intervistato lo psichiatra e psicoterapeuta Filippo Iovine, Direttore del Centro Salute Mentale di Andria e Responsabile dell’Ambulatorio per i Disturbi dei Comportamenti Alimentari (DCA) di Trani. Dal 2014 ha avviato insieme ad altri colleghi un ambulatorio specifico sui disturbi del comportamento alimentare: “Sentivamo la necessità di offrire una risposta strutturata all’utenza per questo tipo di patologie, che prima non c’era”.

Direttore, qual è l’approccio al disturbo del comportamento alimentare?

Il disturbo del comportamento alimentare è una problematica che attualmente rientra tra quelle di salute mentale, ma che ha bisogno invece di un approccio multidisciplinare e altamente specializzato. Può essere utile, infatti, l’intervento di uno psicologo, di un cardiologo, di un gastroenterologo o di un dietologo: tutte figure che non sono previste negli organici di salute mentale. Curare pazienti affetti da anoressia o bulimia è alquanto complesso: loro la ‘cura’ l’hanno già trovata nel calo di peso e nei loro comportamenti. Capita che rifiutino la “nostra” cura perché non sono convinti che possa essere vantaggiosa, non vogliono cambiare. Questi disturbi sono il risultato di diversi fattori fisici e psichici; quindi, è sempre preferibile che vi sia un approccio nutrizionale specialistico volto a recuperare un comportamento alimentare e condizioni generali accettabili. A questo si deve accompagnare un approccio psicologico che aiuti a comprendere le proprie difficoltà, paure e problematiche anche sul piano psicologico. Il percorso di cura dura mediamente un anno e ovviamente dipende da caso a caso, a seconda della gravità.

Il vostro servizio è passato dall’essere attivo un pomeriggio a settimana ad un servizio di tre giornate piene e tre mezze giornate a settimana. Quanto è aumentata l’esigenza di affrontare queste patologie?

La richiesta di cura è cresciuta esponenzialmente negli ultimi anni. Dal 2014 ad oggi abbiamo avuto 532 pazienti – di cui il 50% ha meno di 24 anni – e ad oggi ne abbiamo in cura circa 150. Il picco c’è stato durante e dopo la pandemia: se prima avevamo una media di 50 pazienti all’anno, dal 2021 il numero è salito a 100. Questo ha portato anche ad un notevole incremento della nostra attività, che poi però ha dovuto fare i conti con la ristretta disponibilità delle risorse.

Da cosa scaturiscono i disturbi del comportamento alimentare?

Una delle problematiche spesso è l’accettazione della propria immagine corporea. Viviamo in una società nella quale il valore della bellezza corrisponde a quello di magrezza, e questo è prevalente soprattutto nel genere femminile. Questa è una patologia che si presenta spesso nelle ragazze molto intelligenti, che hanno la tendenza a primeggiare, che spesso sono le prime della classe, competitive. Il problema sorge quando la competizione la intraprendono con il proprio corpo: lì avviene un vero e proprio cortocircuito.

In particolare, cosa è accaduto con la pandemia?

Durante la pandemia la chiusura delle scuole, delle università e il fare tutto a distanza, hanno privato enormemente i più giovani di relazioni fondamentali. Questo ha portato all’esplosione di tutta una serie di paure, di ansietà e di tensioni che hanno avuto inevitabili ripercussioni sull’alimentazione, con diete fai da te (assolutamente sconsigliate) o alimentazione incontrollata.

Come è strutturato e organizzato il vostro organico?

Nel nostro caso si traduce in professionisti che prestano la propria professionalità e le proprie competenze per poter garantire una risposta il più possibile efficace a questo tipo di problematiche. Io ne sono un esempio: la mia attività è quella di direttore del Centro di Salute Mentale di Andria, ma inevitabilmente tolgo del tempo per poter garantire il servizio ai pazienti con disturbi del comportamento alimentare. Abbiamo due infermieri, un operatore sociosanitario e due psicologi a tempo pieno, ma tutte le altre figure mediche sono professionisti costretti a rubare del tempo alla propria funzione principale. Oltre a me, ci sono quindi una psichiatra, uno specialista dell’alimentazione, una nutrizionista, due psicologhe, una terapista per la riabilitazione e un’educatrice.

Riuscite a soddisfare tutte le esigenze della vostra utenza?

In tutta onestà, no. Attualmente abbiamo 18 persone che sono in lista d’attesa. L’esiguità delle risorse che abbiamo a disposizione non ci permette di offrire la risposta che vorremmo. Quando nel 2021 c’è stato un incremento del 30% della domanda di cura, a questo aumento purtroppo non ha potuto corrispondere alcuna estensione del personale. Inoltre abbiamo dovuto introdurre un limite di 13 anni d’età minima dei nostri pazienti. Questo perché avremmo bisogno di almeno un neuropsichiatra infantile che al momento non ci possiamo permettere. Lo stesso discorso vale poi per altre figure: ci servirebbero come il pane anche un terzo psicologo ed un dietologo. Nonostante tutto dobbiamo anche ritenerci fortunati perché la nostra azienda sanitaria ha sempre cercato di venire incontro alle nostre richieste: immagino non accada dappertutto. Il fondo di 25 milioni istituito dal Governo Draghi è stata una boccata di ossigeno: mi ha permesso di effettuare la richiesta di uno psicologo e di una dietista. Non solo. Ho potuto richiedere l’acquisto di nuove strumentazioni e implementare l’attività di promozione della salute rispetto ai disturbi del comportamento alimentare, davvero fondamentale.

Il Governo aveva inizialmente azzerato il Fondo dedicato alla cura dei disturbi del comportamento alimentare, voluto nel 2021 dal Governo Draghi. Poi ha fatto dietrofront. Quali sarebbero state le conseguenze di questo taglio?

A livello burocratico è stato complicato avviare tutte le pratiche per implementare il nostro organico e acquistare nuove strumentazioni. Ora che stiamo finalmente arrivando a toccare con mano i benefici di questo fondo, è chiaro che un blocco o una sua riduzione avrebbe creato un problema. Con il rifinanziamento del Fondo potremo dare continuità al nostro piano di assunzioni. Viceversa le figure che ora stiamo assumendo – che hanno contratti strettamente legati al fondo – sarebbero state costrette a cessare la loro attività. La nostra, tra l’altro, è una realtà avviata già da vari anni: in altre realtà meno o per nulla dotate sono state richieste molte più assunzioni e non immagino nemmeno cosa sarebbe significato per loro l’eliminazione o la riduzione del Fondo. Anche perché la sua istituzione aveva lo scopo di migliorare le strutture già esistenti, ma anche quello di avviare lì dove non c’erano l’istituzione di nuovi servizi.

Ora è stato annunciato un finanziamento strutturale…basterà?

Il rifinanziamento del fondo non risolve il problema ma è un elemento essenziale perché da quando il fondo è stato costituito è partito un lungo iter: il Ministero ha stanziato le risorse, che sono arrivate alle regioni che, a loro volta, hanno organizzato come spenderle e distribuirle alle Asl. Insomma, prima di essere effettivamente operativi passano dei mesi che vanno a erodere i termini che il Ministero dà per spendere le risorse. Per andare a regime, dunque, riconfermare il finanziamento è necessario. Ma non basta. Il Ministro ha detto che questi fondi devono diventare strutturali. Questo però deve valere per tutta la salute mentale.

Le risorse preannunciate sono sufficienti? In generale, pensa ci sia bassa attenzione riguardo ai disturbi del comportamento alimentare?

Che si tratti di 25 o 10 milioni, stiamo parlando di risorse ancora troppo esigue rispetto al problema. Abbiamo preso in carico 530 pazienti ma sono soltanto quelli che siamo riusciti ad intercettare. Se avessimo la possibilità e le risorse per poter fare prevenzione nelle scuole probabilmente sarebbero anche di più. Noi abbiamo ricevuto 124 mila euro per la progettualità di 12 mesi e si capisce che siamo lontanissimi dal poter sostenere con questo fondo le spese di un centro che necessita un determinato numero di specialisti. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, la mortalità per disturbi del comportamento alimentare è la seconda causa di morte per i giovani sotto i 24 anni dopo gli incidenti stradali. È una patologia estremamente complessa, difficile da gestire e che non interessa soltanto il singolo utente, ma tutto il nucleo familiare. Una ragazza di 14 anni affetta da questa patologia è una vera e propria bomba, un fattore destruente per la serenità e per le relazioni di un’intera famiglia. Una delle cose che abbiamo previsto con l’implementazione del fondo, infatti, è un percorso di psico-educazione per i membri della famiglia, specie per i genitori perché devono essere aiutati a gestire queste situazioni e perché loro sono i primi a pagarne le conseguenze. Dobbiamo capire che non si può scherzare su questa tematica; stiamo giocando con la vita di questi ragazzi. Io e tanti altri professionisti non riceviamo una retribuzione per quello che stiamo facendo, lo facciamo per passione.

Come si comporta il resto d’Europa in merito?

L’Italia dedica alla salute mentale il 3% delle risorse per la sanità. La Spagna e il Portogallo vi dedicano il 5%, il Regno Unito spende il 9,5%, la Francia spende addirittura il 14,5%. Si tratta, nel nostro Paese, di una spesa pro-capite annua di appena 61 euro. È chiaro che non è sufficiente.

Cosa si può fare di più?

Coinvolgere, nella decisione sulla distribuzione delle risorse, chi lavora sul campo e conosce le necessità. Altrimenti rischiamo di avere risorse che non vengono utilizzate, nonostante siano già esigue. Se non mettiamo le strutture in condizione di utilizzare quelle risorse, abbiamo solo messo un cerotto ma non abbiamo curato la ferita.

 

di Matteo Mercuri e Martina Bortolotti