Il nuovo contratto dei medici contro gli stereotipi di genere
“Il linguaggio dà forma alla realtà: se i ruoli di genere mutano, la lingua si deve adeguare”
Il rinnovo del contratto della dirigenza medica, veterinaria e sanitaria segna un passo avanti nella lotta agli stereotipi di genere, contro le discriminazioni e verso le pari opportunità. Il nuovo contratto introduce un elemento unico, per il momento, fra tutti i contratti pubblici: l’invito a prestare attenzione all’uso di una lingua inclusiva e non discriminante, con particolare attenzione al genere. È una dichiarazione che non ha valore di norma né è vincolante, ma chiarisce perfettamente quali siano le intenzioni delle parti: promuovere comportamenti inclusivi.
Dopo la decisione presa dalla Corte Costituzionale, di modificare l’intestazione delle proprie sentenze passando da un maschile “Signori” ad una formula che non fa più riferimento a nessun genere per i Magistrati, anche il linguaggio della contrattazione collettiva si propone di diventare più inclusivo.
Il dibattito sull’uso del linguaggio come strumento di contrasto alle discriminazioni di genere ha storia quarantennale in Italia, seppur avviato tardivamente rispetto ad altri Paesi. Il linguaggio è uno strumento con cui diamo forma alla realtà. La lingua, quindi, rispecchia la cultura di una società e ne influenza i comportamenti. Per tale ragione, con le parole possiamo rafforzare stereotipi e luoghi comuni, oppure possiamo provare a mettere in discussione ciò che diamo per scontato e immutabile.
L’uso di termini maschili per designare una donna, per esempio nei nomi che indicano le professioni, ci risulta naturale, ma di fatto non lo è. Sembra naturale solo perché l’uso si è consolidato nel tempo ed è diventato abitudine, ma è frutto di una costruzione culturale. Così come per secoli si è ritenuto “naturale” che una donna non lavorasse fuori di casa, dovesse occuparsi in maniera esclusiva dell’accudimento dei figli e fosse la sola a svolgere i lavori domestici.
Le donne, oggi, hanno sicuramente raggiunto maggiori posizioni di prestigio nelle istituzioni e nelle Aziende rispetto a qualche decennio fa. E se i ruoli di genere mutano, la lingua si deve adeguare, perché non è immobile. Se non si modificasse, si negherebbero quei cambiamenti già prodottisi in termini di parità di genere, che, seppur a fatica, hanno infranto alcune barriere e incrinato il soffitto di cristallo. Il linguaggio dei contratti deve raccontare questa nuova realtà, altrimenti si perpetuerà un’invisibilità femminile che riproduce stereotipi e pregiudizi piuttosto che riconoscere la presenza, lo status e il ruolo delle donne nella società.
Il merito della dichiarazione è quello di aver posto attenzione al linguaggio per superare i pregiudizi di genere culturalmente radicati e per questo difficilmente percepiti. È un invito a modificare quelle consuetudini rese automatiche dall’uso e rafforzate fino a diventare norma man mano che le ripetiamo.
Il nesso tra linguaggio ed esigenze di tutela è un tema che riguarda tutti, soprattutto il sindacato storicamente ispirato all’universalità dei diritti che attraverso la contrattazione collettiva dovrebbero trovare una compiuta attuazione.
Il cammino verso la parità di genere concreta e reale è ancora lungo; il nuovo contratto ne costituisce un fondamentale step.
Di Maria Teresa Coppola
Funzione Pubblica CGIL Medici e Dirigenza Sanitaria